Una donna ascolta alla radio il dramma dell’ottobre 2013 in cui centinaia e centinaia di migranti muoiono vicino a Lampedusa, una piccola isola al confine tra la Sicilia e l'Africa, per il ribaltamento del barcone su cui stavano andando verso l'Europa. Quella voce radiofonica grigia, metallica, asettica la porta a ricordare che cosa sia Lampedusa e che cosa questa isola evochi in lei per quello che ha letto per quello che ha visto al cinema o a teatro piuttosto che nella vita quotidiana. Lampedusa:l'isola che non può che ricordare il nome di Tomasi di Lampedusa, autore del Gattopardo, e che quindi non può non fare tornare alla mente il grande film di Luchino Visconti. Lampedusa al confine fra il futuro e il passato, al confine tra le civiltà e l'inciviltà. Una terra in cui arrivano i migranti ma anche i corpi di decine e centinaia di persone che non ce l'hanno fatta. Una sorta di discrimine fra il rispetto dei diritti umani e il calpestarli in maniera brutale. Lampedusa come luogo a metà strada tra la decadenza e la grande cultura Europea. Come se su questo nome, su questa terra dovessero oggi confluire gli interrogativi sul futuro dell'Occidente. Maylis de Kerangal scrive così un vibrante omaggio a Lampedusa e girovagando tra il cinema, la letteratura, i ricordi cerca di capire fino a che punto sia giunta la decadenza dell’Occidente, fino a che punto si può onestamente accettare che tutto si trasformi e niente muti. Lampedusa diviene così il simbolo di un mondo ormai in decadenza, quello della cultura occidentale, alle prese con un futuro pieno di nebbia, di cui non si riescono a definire limiti e contorni. Unico, drammatico sospetto, è che in questo nuovo luogo i diritti umani rischiano di non essere più il fondamento del pensiero europeo ma qualcosa da cui difendersi e fuggire.
Della stessa autrice la recensione di "Nascita di un ponte"
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