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Un legame da rinnovare

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Un legame da rinnovare
Mentre sulle reti generaliste prendevano il via serie come “Medico in famiglia” o “Rimbocchiamoci le maniche” piuttosto che “Catturandi” di cui tutto si può dire tranne che abbiano uno sguardo rivolto al futuro o rappresentino esempi di innovazione narrativa o di rottura produttiva con il passato, su Sky Atlantic (e con più di due anni di ritardo rispetto agli Usa) andavano in onda le prime due puntate di “The Affair “.

Una serie Showtime giunta oggi alla terza stagione, carica di gloria per gli Emmy vinti e gli ascolti raggiunti, pensata, scritta e prodotta dagli ideatori di “Entreatment” e che si caratterizza non certo per la trama, una relazione clandestina tra uno scrittore in cerca di successo ed una cameriera devastata dalla perdita di un figlio che va ad intrecciarsi con un omicidio che viene a coinvolgere il loro mondo, ma per la forte carica di innovazione a livello di scrittura.

Ennesima dimostrazione che è sì importante quello che si racconta, ma ancora di più è “come” si racconta.
La storia del primo incontro e poi dei primi baci, dei primi amplessi e di un desiderio che aumenta e sembra potere travolgere tutto e tutti, nonché della vita delle famiglie dei due amanti e del mondo in cui vivono viene infatti narrata dai due protagonisti in prima persona.
Ogni puntata pertanto ha la caratteristica di spaccarsi in due per fare raccontare ai due punti di vista i momenti della loro storia che vengono ovviamente visti e raccontati sotto angolature e interpretazioni differenti.

Un escamotage questo caro a tanta letteratura, ma mai utilizzato, in una serie tv per gli ovvi rischi di ripetitività che presenta.

Rischi ampiamente evitati da “The Affair” grazie ad una scrittura moderna, sempre tesa e piena di sfumature, contemporaneamente analitica e descrittiva, capace di rendere al meglio situazioni, contesti, psicologie dei personaggi.

Un’autentica lezione di come debbono essere scritte delle sceneggiature rivolte a un target di pubblico molto ampio e nello stesso tempo di qualità. Un prodotto che dovrebbe essere una preziosa fonte di confronto e di analisi per i nostri sceneggiatori e produttori non tanto, per ingaggiare un’asta per comprarne il format, ma per portare nella nostra fiction tv una ventata dì modernità e di talento.

L'estate porta via Ettore Bernabei e Gigi Mattucci

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L'estate porta via Ettore Bernabei e Gigi Mattucci
Nell'estate appena conclusasi due importanti protagonisti della storia della nostra tv se ne sono andati.

Di uno, Ettore Bernabei, DG della Rai per quasi 15 anni, il Reith italiano per la forza, l'intelligenza, la ben definita dimensione politico culturale con cui disegnò il servizio pubblico tv per tutti gli anni di cui ne fu a capo e quelli a venire, molto è stato scritto e detto in termini che, a prescindere da alcuni toni talvolta talmente apologetici che avrebbero disturbato lo stesso Bernabei, bene hanno ricordato "l'uomo di fiducia", come lui stesso si definì, di quel disegno culturale e politico con cui la DC ha costruito l'Italia nel secondo dopoguerra.

Di Gigi Mattucci, invece, poco o niente è stato scritto come se la sua uscita di scena dalle vicende della vita fosse stato un mero, naturale avvenimento di percorso. Invece Gigi Mattucci è stato non solo uno dei più brillanti dirigenti della tv pubblica, della sua e delle successive generazioni, ma anche un intellettuale e un manager culturale che hanno avuto una visione della tv in costante divenire e mai ancorata a schemi rigidi o ideologici e che ha sempre cercato di fare sì che la tv non fosse ne' uno strumento di potere ne' mantenesse uno sguardo di autoconservazione perennemente rivolto al passato.

Mattucci, ingegnere, laureato al Politecnico di Torino, come amava ricordare con un gocciolino di sussiegosa presunzione, assunto in Rai per concorso, lettore attento e profondo di saggistica e letteratura, socialista per convinzione e cultura profonda più che per obblighi di tessera o interessi di collocazione, fu insieme a Fichera e Manca il padre della riforma del 1975, quella riforma che portò nelle buie e grigie stanze della Rai di quel tempo il vento di un mondo esterno pluralista, libero, giocoso, e gioioso, provocatorio, ma anche culturalmente attento e innovatore.

Attento alle trasformazioni strutturali necessarie per fare della Rai una grande azienda al passo con i tempi (e con i conti in ordine), ma anche costantemente deciso a fare sì che le riforme strutturali continuassero a tenere il prodotto al centro degli obiettivi aziendali.

Nella sua esperienza di direttore della sede Rai di Milano cercò, riuscendovi, di dare un senso concreto alla teoria del decentramento di cui negli anni, dopo gli iniziali innamoramenti, tutti o quasi avevano tradito logiche e obiettivi.

E ci piace ricordare come, anche poche settimane prima di morire, ormai da anni lontano dal palazzo di viale Mazzini, continuasse a pensare e a progettare trasmissioni e programmi sempre comunque innovativi e moderni.

Il passato di Derrick

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Il passato di Derrick
Per anni ho avuto l'onore e l'onere di programmarlo, e con grande successo, su Rai2.
Sulla sua figura e su i perché di un successo planetario ho anche scritto un libro che analizzava sceneggiature, moduli produttivi, target di pubblico interessati.
E avevo incontrato più volte il suo conclamato protagonista, un attore nato in teatro e arrivato alla fama grazie a questa serie tv con delle occhiaie profonde, vestiti sempre di una taglia sopra, un algore e una riservatezza imbarazzanti e il fascino , mite e anonimo , di un bancario di Amburgo in vacanza con moglie, figlia, genero e nipoti sul lago di Garda.

L'ispettore Derrick, la serie tv made in Germany di maggiore successo nella storia, una sorta di "categoria del pensiero" per i moduli narrativi e i modelli comportamentali che suscitava e ne decretavano un successo costante e alto in termini di ascolti e di affezione sui pubblici più diversi per target, dislocazione geografica, età , aveva subito un brutto colpo quando, subito dopo la morte, si era venuti a sapere che Horst Tappert, il mitico Derrick, in gioventù era stato non solo nazista, ma addirittura componente di uno dei più feroci battaglioni delle SS.

Ma tant'è Tappert era morto e questa seppure orrenda scoperta non poteva cancellare Derrick e quel suo "non fascino" che continuava a colpire milioni di spettatori.
Poi all'improvviso, la settimana scorsa, a quasi 10 anni dalla morte di Tappert, la Zdf ha annunciato di avere bandito dai suoi palinsesti Derrick a causa "dell'imbarazzante passato del suo attore protagonista".

Una decisione non solo fuori tempo massimo (i 281 episodi della serie sono stati trasmessi a tutte le ore dalla stessa Zdf che della serie era anche coproduttrice e distributrice nel mondo anche in questi ultimi anni successivi alla "scoperta"), ma anche troppo "sopra le righe" per un paese che della denazificazione ha fatto giustamente più un problema di sostanza che di apparenze (oltre ovviamente che di incredibili dimenticanze, un esempio tra i tanti, von Karajan).

Inspiegabile quindi? Oltre che sinceramente poco rispettosa per i tanti tedeschi che di Derrick sono stati e sono ammiratori.
Ed allora non vorremmo che dietro questo strombazzato rifiuto di un passato da dimenticare vi siano bieche problematiche commerciali legate alla riacquisizione di diritti della serie ed a trattative in corso per il valore del copyright per la produzione di un nuovo Derrick.

L'ispettore Derrick è chiamato anche su questo ad indagare.......

Cinema: 2016 anno della svolta?

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Cinema: 2016 anno della svolta?
È sempre difficile commentare a luglio dei dati che si fermano al 31 dicembre dell'anno prima, specie se ci si occupa di un settore come quello del cinema la cui stagione reddituale rispetto agli incassi sala inizia a settembre e termina a giugno.

Ma i dati forniti da Anica e Mibac pochi giorni or sono sul cinema italiano nel 2015 anche se non contemplano tutto ciò che è accaduto nella prima metà del 2016 (in poche parole i film di Zalone, Genovese e Mainetti solo per fare tre esempi, e ditemi se è poco......) sembrano individuare alcuni trend assai significativi e ormai costanti. Allora.

Un numero eccessivo di film prodotti (182 per la precisione) rispetto alle possibilità di una distribuzione in grado di fornire a tutti una reale visibilità nel mercato e verso il pubblico.

Un costo medio per quasi la metà di questi film che è sotto il milione di euro, un budget quindi molto basso. E c'è da aggiungere che più della metà di questi film ha incassi botteghino non superiori a 100 mila euro, incassi a dire poco sconfortanti che uniti alla rinnovata centralità del finanziamento pubblico, sia diretto che indiretto ( tax credit interno e esterno e premi legati a incasso botteghino) rendono il settore quantomeno economicamente e industrialmente fragile.

Una constatazione quest'ultima che unita al fatto che sembrano scomparire, o quasi, i film non commedie con incassi sui 4/5 milioni, vale a dire incassi medi, evidenzia la realtà di un cinema italiano che va sempre più polarizzandosi tra film di autore estremamente rarefatti  e commedie, le uniche che, anche se con segnali di criticità sempre più evidenti, portano a casa degli incassi "civilizzati".

Se a questo si aggiunge il dato inerente il restringimento della quota di mercato per i film italiani (20 per cento) e la assenza, o quasi di film made in Italy nel prime time delle reti tv pubbliche (33 titoli, ma quasi tutti programmati in estate e prodotti nell'altro secolo....) il panorama che emerge non è certo esaltante.

La speranza di un futuro migliore è da ricercarsi non tanto  nella stagionalità del settore (10/100/1000 Zalone ogni anno.....), ma anche nelle possibilità legate al varo definitivo della legge Franceschini e alla presenza di nuovi player italiani e stranieri interessati a sempre maggiori "sinergie" con il restante mondo dell'audiovisuale. Ed in questa chiave il 2016 sarà un anno centrale per capire quanto sta per accadere.

Auditel: si cambia!

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Auditel: si cambia!
La decisione presa dal nuovo consiglio di amministrazione di Auditel, targato Andrea Imperiali, di mettere sotto analisi a partire dal 2017, non più solo lo storico apparecchio tv, ma anche tablet, smart tv e Iphone sembra finalmente volere aprire al nuovo che avanza (ma che poi tanto nuovo non è più da un pezzo) il mondo della rilevazione degli ascolti tv.

Un mondo che nato poco più che trenta anni fa, attraversato da sempre da polemiche e critiche feroci e piccoli /grandi incidenti (non ultimo quasi un anno fa la pubblicizzazione del nome delle famiglie componenti il campione di riferimento) è sembrato essere impermeabile a molte se non tutte le novità del consumo di tv in Italia, ultimo baluardo a difesa del duopolio che lo aveva creato, vezzeggiato e gestito e dimentico spesso degli interessi degli stessi utenti pubblicitari e del pubblico.

Molti sono ovviamente i problemi tecnologici, giuridici (in primis il nodo della privacy) che il nuovo Cda di Auditel dovrà affrontare per rendere operativo e credibile questa scelta che a differenza del passato ha deciso per quanto riguarda i nuovi media di non usare un campione di riferimento, ma una base rappresentativa di tutti gli utenti da incrociare poi con una parte del campione di riferimento (un terzo circa) partendo dai contatti che sugli apparecchi individuati verranno fatti su internet con i programmi che i broadcaster mettono in streaming.

Il vecchio sistema è dunque morto, ma è altrettanto vero che il nuovo non è ancora definito e presenta problematicità e rischi evidenti. Senza dimenticare, ovviamente, il nodo dei costi di questo nuovo sistema che saranno sicuramente molto più alti.

Ma è certo che il percorso che si è deciso di iniziare è l'unico possibile per cercare di mantenere credibile il sistema di rilevamento degli ascolti con la speranza che anche quanti fino ad ora non hanno fatto parte del mondo Auditel (Sky in primis, ma anche, in prospettiva, i nuovi player modello Netflix) possano esservi coinvolti nell'interesse non solo degli utenti o del mondo pubblicitario, ma dello stesso prodotto audiovisuale.
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Carlo Macchitella è stato per trent’anni dirigente in Rai, ha ricoperto la carica di Direttore Generale di Rai Cinema e presidente di 01 Distribuzione alla cui ideazione, progettazione ed organizzazione ha partecipato in prima persona, e’ stato inoltre Consigliere di Amministrazione di Cinecittà e dell’Istituto Luce. Dal 2008 svolge attività di produttore indipendente. Tra i film da lui prodotti ricordiamo “La Pecora Nera” di e con Ascanio Celestini, in concorso al Festival di Venezia 2010, “Passione” di e con John Turturro, evento speciale al Festival di Venezia 2010. Ha svolto importante attività di pubblicista e fra i suoi ultimi libri ricordiamo “Nuovo cinema Italia” e “I mille Volti del Sogno”. [Carlo Macchitella] (http://www.madeleinefilm.com/wp-content/uploads/2013/staff/carlo_macchitella.jpg)