Con colpevole ritardo ho letto l'ultimo libro di Tabucchi "Per Isabel", pubblicato postumo da Feltrinelli editore quasi tre anni fa. Un colpevole ritardo che non mi ha impedito di farmi coinvolgere prima, appassionarmi poi e amare infine la ricerca di Isabel, figlia della migliore borghesia portoghese che in pieno regime salazariano decide di farsi rivoluzionaria, essere arrestata e poi scomparire nel nulla e per sempre. Chi la cerca l'ha molto amata e non può credere che sia svanita o, come sostengono alcuni, si sia uccisa in prigione. Inizia così una storia affascinante che partendo da Lisbona si dipana per tutta Europa per incontrare uomini e donne che potrebbero, al narratore, dare notizie su cosa è stato di Isabel. Una narrazione che talvolta ha i ritmi del giallo, talaltra del romanzo psicologico e che spesso assume la dimensione del sogno in cui la ricerca di Isabel si annulla in una sorta di non tempo dove presente e passato si incontrano e si confondono. Ed allora la ricerca di Isabel diventa una sorta di esoscheletro, un pretesto per ricordare, andare su e giù per le vicende della vita, per cercare di inquadrare al meglio la complessa realtà del nostro esistere. E nello stesso tempo tentare di rivedere e affrontare i dubbi, i rimorsi, i rimpianti, gli errori che cerchiamo di tenere nascosti o dimenticare, ma sono pronti all'improvviso a riapparire e a rincorrerci colpevolmente. Ed allora ritrovare Isabel vuole dire mettere un punto fermo alla vita, sciogliere i tanti nodi irrisolti che ci portiamo dietro. Vuol dire in una parola chiudere, o ricominciare, il percorso della vita forti della consapevolezza del passato che abbiamo avuto e del presente in cui siamo.
Ed è l'ultimo lascito di Tabucchi a se stesso e ai suoi lettori.
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