Nascono così e si affermano gli attori simbolo di quegli anni: Alberto Lupo, Warner Bentivegna, Anna Maria Guarnieri, Ubaldo Lai e mostri sacri di cinema e teatro come Cervi e Buazzelli ricevono una nuova consacrazione.
Anni lontani, appunto, ma ancora forti, fortissimi nell’immaginario di quelle generazioni che cominciavano a scoprire la tv e la sua forza di intrattenimento.
Anni importanti per la scoperta di un nuovo linguaggio e di nuove regole narrative, con registi capaci di innovare e adattare la forza della tradizione cinematografica al nuovo mezzo (due nomi su tutti Sandro Bolchi e Anton Giulio Majano) .
Ma anche anni in cui si scoprono nuovi moduli produttivi come le coproduzioni internazionali, vere e proprie scommesse finanziarie, creative, organizzative ed attoriali (anche qui due esempi tra tutti L’Odissea di Rossi e Il Marco Polo di Montaldo).
Gli sceneggiati di quegli anni non si avventurano dunque a raccontare i drammi, le inquietudini, i sogni contemporanei, ma seguono la rassicurante strada della letteratura o del giallo d’autore o meno.
Si deve infatti aspettare il ’68 perché sulla prima rete Rai si affacci una storia che parli dell’Italia di quegli anni, della vita di una famiglia alle prese con una quotidianità improvvisamente tumultuosa e confusa (La famiglia Benvenuti).
La famiglia Benvenuti è il prototipo di una fiction impegnata a raccontare un’Italia contemporanea priva di grandi contraddizioni sociali o culturali e vista sempre in una ottica rassicurante e positiva.
Una caratteristica che continuerà ad accompagnare fino ai giorni nostri la fiction tv in particolare di Rai 1 incapace, potremmo dire, di raccontare le fratture della società e le sue violente divisioni e sempre disposta, invece, a ammantarle sotto una ventata di buonismo e di politically correct.
23/11/2015
Carlo
--Fine Prima Parte--
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